Qualche anno fa, un caro amico, che vive e lavora a Roma, mi invitò a cena da Eataly, nel grande centro realizzato in una palazzina della Stazione Ostiense. Egli decise di provare il ristorante top all’ultimo piano, dove si esibiscono gli chef stellati. Purtroppo a quell’ora la cucina era ancora chiusa, così cenammo ai piani sottostanti.
La visita all’ultimo piano, però, fu illuminante. Del famoso ristorante mi colpì, infatti, il suo elegante corridoio d’ingresso, perché aveva alle pareti quadri che incorniciavano pezzi di rocce vere del nostro Paese. Camminavo in questo lungo corridoio e a destra e sinistra mi sfilavano davanti il marmo di Carrara, l’ardesia ligure, il travertino laziale, la pomice siciliana, l’arenaria toscana, il granito sardo, la dolomia altoatesina e così via. Davvero uno spettacolo! E non ero in un Museo di Storia Naturale, ma in uno dei più famosi luoghi dello show cooking italiano, introdotto in esso attraverso questa importante galleria geologica.
Mi domandai il perché, il senso di questa esposizione. Poi, immediatamente, il messaggio mi fu chiaro: il terroir di un prodotto è caratterizzato anche dal suo territorio di produzione, composto dalle rocce naturali che danno origine ai suoli e quindi dalla sua storia geologica.
La composizione mineralogica delle rocce, infatti, può influire in termini qualitativi sul prodotto, caratterizzandone le sue caratteristiche organolettiche. E la grande diversità geologica (in termine tecnici, geodiversità) del nostro Paese e della Liguria in particolare consente di arricchire di più sapori e di differenti gusti quello che mangiamo e beviamo.
Da qui la mia illuminazione e quando trovai il prof. Gerardo Brancucci geomorfologo e il prof. Pietro Marescotti mineralogista, entrambi dell’Università di Genova, che la pensavano come me (e come chi aveva deciso di arredare il ristorante romano di Eataly), insieme decidemmo di andare a verificare scientificamente questa ipotesi che, all’epoca, appariva molto evocativa, ma poco scientifica.
Abbiamo dato vita ad uno spin off universitario (la Geospectra), con il compito proprio di sperimentare sul campo, attraverso metodologie e tecnologie innovative, le analisi dei suoli e delle rocce che compongono le aree di produzione agricola.
Si sono uniti da subito a noi la dott.ssa Monica Solimano ed il dott. Eugenio Poggi, due geologi ricercatori, ed il dott. Michele Brancucci, un chimico. Inoltre, sono stati coinvolti nella linea di ricerca la prof.ssa Adriana Ghersi dell’Università di Genova, architetto e sommelier professionista, la prof.ssa Ilda Vagge, botanica dell’Università di Milano ed infine la prof.ssa Annamaria Ranieri, esperta di nutraceutica e scienze agroalimentari dell’Università di Pisa.
In questi anni uno dei primi campi di sperimentazione è stato quello del settore vitivinicolo, partendo dall’idea di verificare scientificamente, in una regione così geodiversa come la Liguria, il rapporto fra i marker geochimici territoriali e la qualità del vino a denominazione che vi viene prodotto.
I primi risultati di questa ricerca si sono concretizzati con un primo articolo pubblicato nel settembre 2017 dall’International Journal of Environmental Science and Development e poi con una pubblicazione dal titolo “Geodiversità dei vigneti liguri”, che sarà presentata il prossimo 16 aprile al Vinitaly a Verona nello stand dell’Enoteca Regionale della Liguria.
L’obiettivo è stato comprendere la relazione tra suoli e qualità del prodotto vino anche aldilà dei limiti dell’attuale certificazione DOP e delle analisi pedologiche di routine, puntando sull’unicità del prodotto legata alle caratteristiche geologiche, ecologiche e geochimiche dell’area investigata, in un contesto particolare quale il paesaggio terrazzato ligure. Questo al netto degli altri fattori di produzione, antropici e naturali, quali le caratteristiche del vitigno, le tecniche di coltivazione e le tecniche di vinificazione, che ovviamente influenzano la qualità di un vino.
Dai risultati emersi – ma non voglio anticipare i contenuti della presentazione e della pubblicazione – appare evidente che da uno stesso vitigno o da una stessa cultivar (identici genotipi) si possano ottenere prodotti con caratteristiche differenti, come manifestazione di differenze fenotipiche direttamente collegate alle diverse caratteristiche pedologiche.
Queste evidenze scientifiche, che dovranno essere ulteriormente sviluppate, rappresentano una base per la creazione e lo sviluppo dell’etichetta geologica di prodotto, una certificazione volontaria, complementare e non alternativa alle varie certificazioni obbligatorie vigenti.
Questa certificazione – oltre a fornire un’ulteriore garanzia per i consumatori – incrementa in essi il valore percepito (ah, sempre lui!), rappresentando quindi un valore aggiunto per il produttore e un vettore di crescita per lo sviluppo locale, attraverso la valorizzazione del vino in termini di qualità, ma anche e soprattutto di unicità, caratteristica pivot per ogni terroir.
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Nel mio piccolo, sono un fervente sostenitore, ogni vallata dovrebbe avere un vino con caratteristiche uniche…il punto è che nel nostro uno per cento del vino nazionale la frase rimbombante in fase di degustazioni è: mi è piaciuto il 5, il 9 e spero che il mio sia il il tredicesimo. La personalità del vino può diventare la ricchezza del territorio e non solo enologica..