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Cosa vuol dire essere un produttore rivoluzionario

di Marta Tartarini 20 Novembre 2019

All’indomani di The Wine Revolution di Sestri Levante, ecco le risposte di alcuni liguri presenti

“The Wine Revolution”, evento rivolto ai produttori di vini naturali, cioè vini creati senza l’intervento della chimica, si è svolto il 17 e il 18 novembre nella suggestiva location dell’ex Convento dell’Annunziata, presso la Baia del Silenzio di Sestri Levante. Le due giornate sono state dedicate alla degustazione di vini naturali provenienti da tutta Italia e di eccellenze agroalimentari. Inoltre era possibile partecipare a tre approfondimenti: “Piwi i vitigni resistenti”, “Garage wine revolution” e “Liguria: conversioni: approcci in Liguria”.

Paolo Cogorno, organizzatore insieme a Nicoletta Zattone di “The Wine Revolution” ci spiega la ragione del nome di questa manifestazione: «Il vino naturale è stata una vera e propria rivoluzione nel mondo del vino per questo abbiamo deciso di chiamare così questo evento. Spesso erroneamente si confonde il vino naturale con il vino del nonno perché i nostri nonni, come i vignaioli che sono qui presenti oggi, facevano il vino senza additivi aggiunti. Ciò che differenzia però i produttori odierni da quelli di una volta è una profonda conoscenza enologica che permette ai vini fatti in modo naturale di essere di altissima qualità». I produttori di vini naturali sono quindi rivoluzionari perché hanno trasformato, attraverso una concezione moderna, fatta di cultura, studio, conoscenza e competenze, il vino “del nonno” senza chimica, in un vino tecnicamente preciso, pulito e di ottima fattura. In questa terza edizione dodici sono stati i vignaioli liguri presenti che hanno dimostrato con i loro vini in degustazione come la Liguria stia sempre più crescendo da un punto di vista qualitativo nel panorama dei vini naturali. Abbiamo chiesto ad alcuni di loro in quale senso si considerino dei produttori rivoluzionari dato che è il fil rouge di questo evento.

Heydi Bonanini dell’Azienda “Possa” di Riomaggiore

Heydi Bonanini dell’Azienda “Possa” di Riomaggiore

Heydi Bonanini dell’Azienda Possa di Riomaggiore ci spiega come la sua rivoluzione si fondi sul rapporto intrinseco con la natura: «La mia rivoluzione sta nell’avere un rapporto intimo con la natura, conosco pianta per pianta, grappolo per grappolo, ho un rapporto molto stretto con la mia terra. Facciamo dei vini nel modo più naturale possibile e ciò si percepisce nelle bottiglie perché si riscontrano alcuni sapori che nel 90% dei vini di oggi sono cancellati. Tante volte ci può essere l’imperfezione nei vini di questo genere ma la maggior parte delle volte trovi fuori quei gusti, ormai scomparsi, che sono l’essenza del territorio da dove viene il vino. Lavoriamo in modo biologico in sinergia con le piante, usiamo infatti intorno alle vigne, piante che le aiutano ad andare avanti. Facciamo sperimentazione con nuovi prodotti a base di propoli e di alghe, per sostenere sempre al meglio la pianta, per far in modo che sviluppi le autodifese necessarie. Il terreno lo trattiamo come facevano i vecchi quindi attraverso un composto vegetale delle erbe che sterpiamo nel terreno e delle piante che abbiamo intorno».

In questa prospettiva si colloca anche Alessandro Vignali di “Terra della Luna” di Fosdinovo che descrive così la sua filosofia aziendale: «Il mio obiettivo è quello di dare alla luce dei vini autentici che rispettino al massimo la natura senza l’aggiunta di coadiuvanti di alcun tipo. La mia rivoluzione è molto semplice ovvero fare un prodotto che rispetti la stagione. Il comune denominatore dei miei vini sta infatti nella loro sincerità che può portarli ad essere apprezzati come no. Mi auguro che gli wine lovers capiscano la differenza tra vini davvero naturali a quelli che hanno solo il marchio bio perché va di moda».

Fausto De Andreis delle Rocche del Gatto di Albenga

Fausto De Andreis delle Rocche del Gatto di Albenga

Fausto De Andreis di “Rocche del Gatto” (Albenga) è un anarchico da ben 67 vendemmie come dimostrano i suoi vini che rappresentano assolutamente un unicum nello scenario ligure per la loro originalità e longevità. Fausto De Andreis sottolinea infatti: «Nel mio piccolo mi sento un rivoluzionario perché cerco di capire la natura, senza insegnarle niente. Parto dalla tradizione per migliorarla ma senza stravolgerla, attraverso le leggi fisiche. Oggi presento tre novità che rientrano assolutamente in questo scenario. L’“Ormeasco 2006” che è stato vinificato a freddo come se fosse stato prodotto da un’uva bianca. Me lo sono dimenticato e ho scoperto che era ancora buonissimo». Il “Intin Riviera di Ponente 2016” che è la prova di come il vermentino possa essere un vino con gli attributi se si rispettano certe condizioni come la provenienza da uve mature, belle e coltivate nel rapporto giusto foglie e kg d’uva sulla pianta insieme alla vinificazione sulle bucce come faccio con gli altri vini. L’ho Imbottigliato a settembre 2019 e ha 15 gradi. Infine il “Senza tempo 2011” che è stato in vasca di acciaio inox fino al 14 agosto quando l’ho imbottigliato. È un pigato nella versione spigau, un vino amico del tempo».

Azienda sempre del Ponente Ligure ma molto più giovane (la loro prima annata è stata la 2014) è Rosmarinus (Imperia nel comune di Perinaldo) di Marco Biancardi e la moglie Francesca, la quale ci racconta: «Possiamo essere considerati dei rivoluzionari forse perché cerchiamo di lavorare bene in vigna e intervenire il meno possibile in cantina facendo così esprimere al meglio la natura. Siamo infatti biodinamici. In autunno seminiamo un mix di leguminose graminacee a filari alterni che andremo poi a falciare in primavera in modo che l’azoto rimanga nell’apparato radicale di queste piante disponibili per le vigne. Quando potiamo non bruciamo ma andiamo a triturare tutto lasciandolo compostare con del letame e riportando tutto in vigna per far crescere uno strato di humus. Trattiamo prodotti di copertura e non di sintesi”.

Sebastiano Catania di Vetua di Monterosso al Mare

Sebastiano Catania di Vetua di Monterosso al Mare

Infine torniamo nel Levante Ligure con l’azienda Vetua (Monterosso al Mare) di Sebastiano Catania che ci confida in che cosa consista la sua rivoluzione: «Mi considero assolutamente un rivoluzionario, in primis per la scelta difficile di uscire dalla denominazione inoltre per come faccio il vino: rispetto l’ambiente in vigna e la materia in cantina».
Tirando le somme, rispettare la natura e far sì che il braccio dell’uomo sia semplicemente il prolungamento di essa è la più grande rivoluzione nel mondo del vino (e non solo) che si possa fare. In fondo, come diceva Francesco Bacone “alla natura si comanda solo ubbidendole”.

 

 

 

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Marta Tartarini

La filosofia mi ha dato gli strumenti necessari a criticare ogni oggetto in questione. L’enogastronomia è la mia più grande passione. Scrivere di cibo e di vino mi appaga lo spirito e chiaramente anche il palato. Dopo aver conseguito la laurea in Filosofia all’Università Cattolica di Milano, con una tesi dal titolo “Fame e Libertà. Bloch e Levinas”, ho vissuto in California per rafforzare il mio inglese. Lì ho capito di voler iniziare un percorso per diventare critica enogastronomica. Eccomi quindi a scrivere per “L’Espresso” e per “James Magazine” di food and wine. Il mio obiettivo è quello di alimentare sempre di più la mia conoscenza enogastromica e raccontare sempre meglio le mille sfaccettature del bere e mangiare bene.

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