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Davide Zoppi: “La mia battaglia per i vitigni autoctoni”

di Sabrina Grassagliata 26 Novembre 2017

A Bonassola un’azienda che ha fatto del recupero delle terre incolte il suo punto di forza.

nella foto i vigneti di Cà du Ferrà

nella foto i vigneti di Cà du Ferrà

Rispetto per le persone, per gli animali e per l’ambiente. Sono i 3 pilastri alla base della filosofia di Cà du Ferrà Farm & Relax a Bonassola (SP). Li scopriamo insieme a Davide Zoppi, il giovane bonassolese alla guida dell’azienda di famiglia, che ci porta direttamente in azienda per conoscere l’agriturismo più vicino al mare di tutta la Liguria. Un viaggio fra le Cinque Terre e le Baie del Levante parlando di antichi vitigni, recupero di terreni incolti, agricoltura biologica. E anche riconoscimenti prestigiosi.

Vuole raccontarci qualcosa degli Oscar Green?
Oscar Green è il Concorso Nazionale promosso da “Coldiretti Giovani Impresa” per valorizzare le eccellenze e i progetti che sappiano coniugare tradizione e innovazione in agricoltura. Quest’anno, in tale contesto, la nostra azienda si è candidata nella categoria “Fare Rete” con il progetto di recupero della biodiversità attraverso il reimpianto del vitigno Ruzzese, aggiudicandosi tale ambito riconoscimento. Il Ruzzese, vitigno storico, rarissimo e autoctono, coltivato nella zona delle Cinque Terre e Baie del Levante fin dal Cinquecento è praticamente scomparso circa un secolo fa. Papa Paolo III Farnese si faceva arrivare il Ruzzese fino a Roma via mare, pagandolo prezzi esorbitanti. Scriveva infatti Sante Lancerio, bottigliere del Papa, che il Pontefice “soleva intingere i fichi secchi nell’amabile Ruzzese”. Antesignano dello Sciacchetrà, il famoso passito delle Cinque Terre, il vitigno andò pian piano scomparendo per la bassa produttività, fino a che non ci pensò la Fillossera, un micidiale insetto parassita, a decimare gli ettari rimasti, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Cà du Ferrà pertanto sta recuperando questo rarissimo vitigno, grazie a un progetto realizzato in collaborazione con il CNR di Torino, che ne ha curato la parte tecnica e scientifica. Il progetto prevede il recupero del raro vitigno e la messa in produzione dell’antico vino del Papa, in versione bianco secco e passito. L’attività peraltro è stata inserita da Regione Liguria come Progetto Dimostrativo a tutela della Biodiversità.

la vendemmia a Bonassola

nella foto la vendemmia a Bonassola

Il recupero dei terreni incolti e di antiche varietà è uno dei vostri tratti distintivi. Avete già individuato, oltre al ruzzese, altri vitigni da reintrodurre?
Uno dei capisaldi della nostra Azienda è proprio il recupero delle terre incolte, infatti da anni ci adoperiamo in questa direzione. Abbiamo ripulito vari appezzamenti nei comuni di Bonassola, Levanto, Vernazza e Riomaggiore, da 50 anni in stato di abbandono. L’opera svolta certamente contribuisce al mantenimento del territorio e alla mitigazione del rischio idrogeologico. Gli agricoltori sono le “sentinelle” del paesaggio, curatori della Bellezza.
Mi piace pensare che “vitare” un nuovo terreno riportato alla luce, possa significare, oltre all’impianto di nuove barbatelle, e noi in questo ultimo anno ne abbiamo messe a dimora più di 10 mila, ridare vita ad un territorio prima rimasto in ombra. Oltre al Ruzzese, abbiamo una vera passione per i vitigni autoctoni e minori: da due anni stiamo reimpiantando anche Rossese Bianco, Picabon, Albarola Kihlgren per bianchi e Granaccia e Vermentino Nero per i rossi.

La sua azienda è molto attenta al territorio e al rispetto delle sue specificità. Quali sono i valori e la filosofia alla base?
Oltre a quanto già detto, Cà du Ferrà fa del rispetto e dell’inclusione la propria bandiera. In un mondo, infatti, nel quale la parola “rispetto” sembra ormai scomparsa, noi di Cà du Ferrà mettiamo in pratica tutti i giorni la “Filosofia delle 3R”: Rispetto per le persone, Rispetto per gli animali, Rispetto per l’ambiente.
Abbiamo redatto una Carta dei Valori, pubblica e leggibile sul nostro sito ufficiale, nella quale ci impegniamo a garantire buone prassi nello svolgimento del nostro lavoro quotidiano, in vigneto così come in agriturismo.

Nel 2013 siete passati a un’agricoltura completamente biologica. È stato difficile riconvertire i vigneti?
È stato certamente un percorso di avvicinamento negli anni. In vigna non abbiamo mai utilizzato né erbicidi, né diserbanti, né pesticidi. Quando facevamo convenzionale, però, utilizzavamo trattamenti sistemici per combattere oidio e peronospora. Negli anni però, ci siamo resi conto che le piante sono come “bombardate” da agrofarmaci che non permettono il pieno sviluppo, la corretta esposizione solare e la salubrità dei grappoli.
Dal punto di vista agronomico, infatti, le foglie erano più chiuse, i grappoli più soggetti a marcescenze e botriti. Abbiamo compreso che quella non poteva essere la strada giusta. Le piante erano come noi durante un’influenza perenne, a casa, sul divano, rannicchiati sotto una coperta, con assunzione di antibiotici tutti i giorni. Così come il corpo si debilita, anche le piante ne risentono.
Abbiamo quindi intrapreso la strada del biologico certificato, consci del fatto che il rispetto della Terra e dei consumatori sia la strada maestra da seguire per un’agricoltura buona, pulita e giusta.
I vantaggi sono stati molteplici: utilizzando solo rame e zolfo, facendo inerbimento e lavorazione terra a rotazione, concimando con stallatico di cavallo, abbiamo notato un miglioramento fogliare, una salubrità dei grappoli e delle piante stesse, oltre ad evidente miglioramento organolettico del vino. Con nostra grande gioia sono ritornate anche le coccinelle. Quest’anno poi, nei nostri vigneti di Bonassola, con l’aiuto di un apicoltore locale, abbiamo inserito anche 12 arnie con più di 300 mila api che ci aiuteranno nell’impollinazione delle infiorescenze della vite, oltre a produrre un golosissimo miele.

L’hanno soprannominata l’“agrigiurista”. Cosa l’ha portata a mettere nel cassetto la laurea in legge per dedicarsi all’azienda di famiglia?
Il termine “agrigiurista” è nato quasi per scherzo durante una chiacchierata con amici, raccontando loro come avrei lasciato la mia futura carriera da magistrato, dopo la Laurea in Diritto Internazionale alla Cattolica di Milano, per dedicarmi all’agricoltura. Non volevano crederci, pensando fosse una follia.
Oggi, a qualche anno di distanza, mi rendo conto invece che la pazzia sarebbe stata non seguire il mio cuore e il richiamo della mia Terra. Sono contento ed orgoglioso della scelta intrapresa.

Imprenditore, delegato Coldiretti e consigliere dell’Enoteca Regionale. Cosa si sente di consigliare ai giovani che, come lei, vogliono investire nella terra?
L’amore per la Liguria mi ha portato a traslare il mio civismo in diversi incarichi che sto ricoprendo a livello provinciale e regionale, mettendo anima e cuore, facendo rete, sviluppando progettualità a servizio della collettività.
Sono diversi i giovani che in questi anni ho aiutato ad inserirsi in campo agricolo, anche tramite il Progetto del Recupero delle Terre Incolte, valorizzando capacità ed esperienze diverse.
La Liguria in questi anni ha fatto passi da gigante nel campo vitivinicolo, ma ha ancora molto potenziale da esprimere: dobbiamo lavorare sull’offerta, sulla messa a rete delle eccellenze, sul coinvolgimento dei giovani che vogliono rimanere nella nostra splendida Regione. Servono idee e capacità, che non mancano, oltre a tanta passione e caparbietà. La Liguria è fantastica, rendiamola straordinaria!

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Sabrina Grassagliata

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