Un calice sul palco per vincere la timidezza. E l’amore reciproco tra l’artista e la sua Liguria
Nemo propheta in patria est. La famosa locuzione latina, attribuita a Gesù, che descrive la difficoltà riscontrata da molti intellettuali nel farsi conoscere e apprezzare nei propri luoghi d’origine, viene piacevolmente contraddetta dal rapporto esistito ed esistente tra Fabrizio de André e la sua Liguria. Il cantautore genovese è stato infatti riconosciuto, apprezzato e “rivendicato” ancora in vita e in attività dalla sua gente. La scoperta delle sue origini e l’annoveramento campanilistico come “ligure illustre” non sono avvenuti post mortem e nella stessa misura l’artista non ha tradito le sue origini o si è trasferito altrove alla ricerca del successo per poi riscoprirsi ligure una volta ricco e affermato. Ma ha scelto il genovese come lingua per il suo disco più famoso (Crêuza de mä) e ha raccontato Genova e la Liguria in molti suoi brani.
Quello che colpisce è la reciproca trasversalità del sentimento amoroso tra De André e la sua terra natia. Faber frequenta il “Club Tenco”, è amico d’infanzia di Paolo Villaggio e ha rapporti con molti artisti e intellettuali liguri e non. Nello stesso tempo, ha un rapporto privilegiato con Don Gallo, una relazione stabile con una prostituta di Via Venti, è un tifoso del Genoa calcio e i disperati dei vicoli del centro storico della sua città sono tra i soggetti preferiti per i suoi testi. Questa pluralità di frequentazioni, di interessi e di curiosità genera un affetto “di ritorno” proveniente dai settori più disparati della società ligure ed ognuno di questi segmenti sociali manifesta il suo apprezzamento per Faber nei luoghi e con le forme che gli appartengono. Arrivano così le Lauree Honoris Causa, i Viali a Mare intitolati e i monumenti dedicati ma anche le citazioni di canzoni sui muri dei vicoli, le bandiere e gli striscioni in curva allo stadio, le centinaia di tesine che studenti maturandi decidono di scrivere su di lui, fino alle diecimila persone presenti il giorno del suo funerale (11 gennaio 1999).
Della Liguria De André amava e raccontava le piccole cose, quelle quotidiane. Tra queste non manca il vino, con il quale ha instaurato un rapporto anche troppo confidenziale e che rappresenta un tema ricorrente sia nella sua vita che nella sua poetica. Presente sul palco, per vincere la timidezza e per esorcizzare la paura del pubblico, presente nei testi dove è spesso protagonista anche se non sempre con accezioni positive. In “Crêuza de mä”, la canzone che ha fatto conoscere il dialetto genovese nel mondo, Faber cita in particolare il vino bianco di Portofino.
“ E a ‘ste panse veue cose che daià
cose da beive, cose da mangiä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi.”
Anche riguardo al vino la reciprocità del sentimento si è manifestata e alle dichiarazioni d’amore (e odio) di De André, un po’ forse nel tentativo di accaparrarsi la paternità di quella citazione, certamente come sincero tributo al cantautore scomparso, ha fatto seguito il battesimo da parte della Cooperativa Cinque Terre del bianco frizzante Creuza de Ma (1998). Il titolo della canzone (Sentiero di mare) si addice perfettamente a un vino proveniente da vigne coltivate su sentieri impervi a strapiombo sul mare.
Per dare maggiore risalto all’affinità tra l’ottenimento di un buon vino in un territorio morfologicamente così complicato e la ricerca musicale e lessicale del cantautore, sull’etichetta della bottiglia, i viticoltori delle Cinque Terre hanno deciso di riportare anche la strofa finale della canzone:
“Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sa/ che a ne liga e a ne porta n’te na creuza de ma…”