Il comico spezzino si racconta. Da quando “andava a spuma” a quella volta che a Roma gli offrirono un vino… indovinate un po’?

nella foto il borgo di Manarola_ph Alessio Grassi
È tra i volti più noti della comicità italiana. E chi è spezzino va fiero di avere un concittadino che da molti anni calca le scene dello showbiz. E non solo, dato che è anche scrittore (ultimo libro pubblicato, “La ballata delle acciughe”, Mondadori, 2014), oltre che conduttore tv. Dario Vergassola lo conoscono tutti. Vederlo passeggiare per Spezia, la sua città, con il cane al guinzaglio e il berretto di lana calato sugli occhiali, fa subito simpatia. Se poi comincia a raccontare, con quella sua cadenza da spezzino vero, ancora di più.
Vergassola, lei che vino beve?
Io ero uno di quelli che al bar “andava a spuma”, e ancora adesso non bevo alcolici. Il vino ho cominciato a berlo dopo, con mia moglie che lo beveva a tavola già quando eravamo fidanzati. E quindi io, alla fine, mi sono adeguato. Il vino che bevevo io era un vino ligure che una volta aveva, diciamo così, una sicurezza, un antifurto. Era il vino che facevano a Pianca, sopra Volastra, dove avevo dei parenti. Mio padre dava una mano per la vendemmia agli anziani del posto e loro gli regalavano queste tanichette da 3-5 litri di vino, che lì era un vino buonissimo, come lo portavi a Spezia era già aceto. Questo era l’antifurto! I liguri le inventavano tutte pur di non dar nulla.
Ma le cose sono cambiate…
In effetti ultimamente, io che bazzico Manarola, ho scoperto delle cantine di ragazzi giovani davvero in gamba. Oddio giovani… quarantenni, ma il vino resta interessante. A parte Walter De Batté che ormai è conosciuto, parlo del vino di Burasca e di una cantina affascinante all’inizio del paese. È di un mio amico che chiamiamo tutti Cocuzza (ndr Cantina Crovara). Poi c’è il mitico Mario Andreoli che ogni volta che accendiamo il presepe fa assaggiare lo Sciacchetrà a tutti.
Lei ha viaggiato molto. Ricorda un episodio in cui si è sentito particolarmente fiero di essere ligure?
Una volta a Roma mi hanno portato a mangiare in un posto molto figo vicino a Piazza Navona. Iniziano a servire pesce crudo, questo e quell’altro, e poi mi dicono: «Vergassola abbiamo un vino del suo territorio». E io penso: mi porteranno del Vermentino. Anche perché io, parentesi, anni fa ho fatto il Testimonial del Vermentino. Mi hanno pagato in bottiglie. I miei amici erano molto contenti. Io un po’ meno perché il bianco mi fa un po’ di reflusso. Però non l’ho detto, non mi sembrava carino. E anche una volta a Montalcino, ora che ricordo, mi hanno caricato la macchina a Brunello. Mi hanno pagato in bottiglie più volte, ma va bene così…
Tornando alla cena, quella sera mi promisero un vino meraviglioso. Io aspetto e… quale soddisfazione quando ho visto che era una bottiglia di Forlini Cappellini, un’altra cantina di Manarola molto buona e importante. A questo vino mi lega un altro ricordo simpatico, che dimostra la differenza tra fare vino in Liguria rispetto ad altre regioni d’Italia.
Ci racconti…
Deve sapere che quando vado in giro per il Veneto, mi capita di visitare ville palladiane e palazzi, fulcro della viticoltura regionale. Una sera invece a casa mia a Manarola (ndr Vergassola passa l’estate in questo borgo delle 5 Terre) aspettavo degli amici a cena. Sono uscito per prendere delle bottiglie di Forlini Cappellini ma in negozio le avevano finite e mi dicono: «Vai a prenderle direttamente a casa loro». E così ho fatto. Ho superato la chiesa, perché sapevo dove abitavano, e nel mentre vedo un’ape con due signori a bordo che arrivavano dai campi. Erano loro. Mi riconoscono, mi invitano a salire in casa, insistono: “Vèni Vergà, vèni, vèni”. Così salgo e mi ritrovo in questa casa molto accogliente, ma normale, una tipica casa ligure, con i panni stesi, i cartoni di vino sul tavolo… Ecco, questa è la bellezza dei nostri luoghi: una semplicità e un’umanità che non ha niente a che vedere con i vigneti che circondano i castelli veneti o le tenute in Toscana.
In Liguria la viticoltura richiede uno sforzo maggiore che altrove. Cosa ne pensa?
Penso alla fatica immane che fa questa gente, i viticoltori appunto. Se ci si concentra su questo, lo Sciacchetrà dovrebbe costare 100 euro a goccia. E finirà così prima o poi. Anni fa le persone del posto, delle 5 Terre, si vergognavano della fatica che facevano. Vivevano in una povertà dura. Se in Emilia Romagna durante la vendemmia suonavano la fisarmonica sopra il trattore, da noi alla fine della giornata arrivavano a casa e non si guardavano neanche in faccia con la moglie, perché erano morti. Le donne lo stesso, perché “camallano” come gli uomini. Oggi il lavoro nei terrazzamenti, oltre a produrre vero beneficio economico, è diventato motivo di orgoglio. E tanti ragazzi giovani si stanno dando da fare per recuperare il territorio. Non è vero che pensano solo agli affittacamere.
Con cosa brinderà questo Natale?
Non lo so, andrò a scavare nel garage tirando fuori quello che rimane di quel famoso Vermentino. O proverò a sgraffignare qualche bottiglia approfittando delle mie spie a Manarola. Se sarò invitato da qualche parte, però, farò come faccio di solito quando voglio fare un figurone: porterò una bottiglia di Sciacchetrà rigorosamente incartato nel giornale.
Salutiamo e ringraziamo Vergassola che alla fine della nostra chiacchierata si congeda così: «Ci tengo a dire un’ultima cosa. Nei giri in barca che faccio d’estate nel nostro fantastico golfo, non porto vino ma uva e focaccia, il top! Neanche Briatore sa cosa vuol dire!» E noi seguiremo il suo consiglio!