13.000 imprese e 40.000 addetti si preparano ad aprire. Una buona notizia anche per il vino ligure
Circa tre settimane fa (ancora in piena emergenza Coronavirus) i colleghi di IPSOS hanno pubblicato un sondaggio sul sentiment degli italiani ai tempi del Covid-19. Ai nostri connazionali è stato chiesto cosa avrebbero fatto non appena fosse finito il lockdown. Fra tutti i comportamenti possibili, al primo posto, con il 39% delle risposte, si è classificato quello di “andare a bere e mangiare fuori”, un desiderio che, se da un lato dovrà prevedere inizialmente una certa prudenza, fa ben sperare per una prima ripresa del settore. Dal 4 maggio scorso, poi, siamo entrati nella fase 2 ed è di queste ore la notizia della probabile riapertura in modalità tradizionale, dal 18 maggio prossimo, dei pubblici esercizi, attraverso un’ordinanza regionale concordata, sembra, con le direttive governative nazionali.
Certo è che, settimana più o settimana meno, siamo alla ripartenza della ristorazione ligure, che con le sue 13.000 imprese ed i suoi 40.000 addetti è un canale di vendita fondamentale per i vini liguri. A questo proposito pur non conoscendo il peso nei canali distributivi della produzione regionale (forse non sarebbe male cominciare a promuovere qualche indagine in merito), sappiamo da un’indagine Mediobanca del 2019 che a livello italiano prevale la grande distribuzione organizzata (GDO) che interessa il 38,8% della produzione, seguita dall’Ho.Re.Ca. con il 17,1%, dai grossisti e intermediari al 15,0% e dalla rete diretta con il 12,3% (il residuo 16,8% è fruito attraverso wine bar e altri canali). Questo in Italia, ma io penso che a livello regionale la distribuzione attraverso il canale Ho.re.ca (e ristorazione in particolare) possa addirittura essere il primo canale distributivo per le produzioni di vini DOP ed IGP della Liguria.
Ma sarà ancora così?
Prima di tutto il flusso turistico. Molti ristoranti in Liguria, infatti, vivono di turismo, in virtù dei 15 milioni di presenze nelle strutture ricettive della regione (di cui il 41% stranieri), ma sappiamo bene che la stagione 2020 è ormai compromessa per le necessarie restrizioni imposte alla mobilità interregionale ed internazionale delle persone che impedisce, di fatto, di viaggiare ed andare in vacanza in tutto questo periodo. Sappiamo anche che se i dati sanitari saranno confortanti (il famoso indice R0 che tutti noi abbiamo imparato) si riapriranno i confini regionali prima ed internazionali dopo, forse molto tempo dopo. Per esempio, una proiezione che abbiamo fatto due settimane fa per il mercato italiano e riferita alle sole Cinque Terre vede quest’anno una perdita presunta del 60% delle presenze turistiche nelle strutture ricettive di quel territorio. Il dato di stima potrebbe essere poi ancora peggiore se il blocco alla mobilità turistica fosse ancora prolungato. Sappiamo, inoltre, che la pandemia avrà segnato psicologicamente le nostre abitudini di consumo, ma non, come si è visto nel citato sondaggio, i nostri desideri di consumo.
In secondo luogo c’è il problema di come sarà organizzato il servizio nei ristoranti, bar ed enoteche a causa delle misure per contenere una nuova diffusione del contagio.
Gli operatori dovranno attuare una serie di misure per la tutela dei clienti e del proprio personale, quali quelle della sanificazione degli ambienti e del distanziamento sociale. Le prime comporteranno un aggravio dei costi di gestione (anche se ci sono dei contributi che possono essere richiesti), le seconde, invece, una riduzione della capacità produttiva (il numero dei coperti) e conseguentemente del fatturato. Alcuni studi parlano di una riduzione media dei due terzi dei coperti e quindi, se questo fosse confermato, la possibilità, nel migliore dei casi, di realizzare un terzo dei ricavi dello scorso anno, chiudendo probabilmente il bilancio del 2020 con un pesante segno negativo.
Per questo motivo qualche ristoratore sta pensando pure di non aprire quest’anno, ma è una decisione da ponderare molto bene e a mio giudizio sconsigliabile, anche perché l’inizio del 2021, almeno per il flusso turistico, sarà ancora lento e certe percezioni del consumatore non saranno tanto diverse da quelle dei prossimi mesi.
Purtroppo, però, a sole due settimane dalla completa riapertura, le imprese del settore non hanno ancora un protocollo certo ed approvato dalle autorità sanitarie e governative. C’è il protocollo per i dipendenti, con varie versioni che sono state aggiornate (come per la famosa autocertificazione), ma nulla di preciso e di obbligatorio per i clienti, tranne alcuni protocolli elaborati dalle associazioni di categoria di settore. C’è da chiedersi come oggi gli operatori possano fare le opportune ipotesi di costi e ricavi senza precise disposizioni di servizio alla clientela a cui saranno obbligati ad attenersi. In questo scenario, quindi, anche la commercializzazione dei vini liguri attraverso questo canale distributivo sarà ridotta, così come i fatturati di vendita delle imprese vitivinicole della regione. Allora forse nel riposizionare le loro attività la ristorazione dovrà riorganizzare il proprio processo produttivo con elementi d’innovazione verso la clientela. E siccome il vino è parte fondamentale di questa proposta, bisognerà capire con quale modalità proporlo, con quale tipo di promozione e con quale politica dei prezzi. In conclusione, c’è da chiedersi se non sia giunto finalmente il momento di stringere quel vero patto di filiera tra ristorazione e viticoltura ligure per la sopravvivenza di entrambi i comparti.