La degustazione di sei annate del prodotto di punta di un’azienda storica immersa nei Colli di Luni

Il “Mezzaluna” dell’azienda Borassi
Partiamo dal nome. Quando hai un’azienda agricola a Giucano (Ms) da un centinaio di anni nel bel mezzo dei Colli di Luni, fai vino, hai un vigneto giusto sopra la cantina, ce l’hai anche bene esposto (un bel sudovest ad un’altitudine tra i 120 e i 130m slm) già parti bene. Se questo vigneto visto dall’alto, e si capiva anche prima dei droni e dei satelliti , ha una forma che anche senza troppa fantasia ricorda quella di una mezza luna, trovare un nome decente da mettere in etichetta è un gioco piuttosto facile. Il terreno non è grandissimo, in annate medie ne vengono circa 5.500 bottiglie all’anno, la scelta del Vermentino in purezza è di molto tempo fa, prima che Andrea Boriassi prendesse quelle che solitamente vengono definite le redini aziendali, la scelta di abbracciare l’agricoltura biologica idem, quella di certificarla un po’ più recente, ma parliamo del millennio scorso, i famosi tempi non sospetti.
Per l’azienda Boriassi il Colli di Luni Vermentino DOC Mezzaluna è il prodotto di punta, ma la domanda è: sarà un vino paragonabile a quelli solitamente considerati i migliori omologhi della Denominazione? Anche da questa domanda nasce l’idea di proporre una degustazione verticale di ben sei annate, le ultime, per verificare i consueti parametri: riconoscibilità, corrispondenza all’annata e serbevolezza nel tempo.
Ecco i risultati di due sessioni di assaggio, due serate diverse con due diversi gruppetti (piccoli, a norma di legge) di persone di diversa preparazione, come dire che ho testato i pareri di critica e pubblico.
2019: all’ingresso nel calice è appena chiuso al naso, poi si apre, propone comunque un fruttato, sia la classica mela che qualcosa di più polposo, pesca bianca, il tocco erbaceo non manca, lasciato un po’ nel bicchiere arrivano le erbe aromatiche. Vino fresco, di buona sapidità e di grande facilità di beva. La sensazione è che si possa serenamente avvicinare ora, ma che abbia ancora qualcosa da esprimere in termini di complessità ed evoluzione, come se valesse la pena aspettarlo un po’.
2018: naso ben più ricco del precedente, una nota di idrocarburo arriva piuttosto forte al primo impatto, poi lascia spazio ai sentori classici del vitigno e della zona, ma con qualche tocco in più, di mineralità (lo so che non va più di moda, ma quanno ce vò ce vò), di fiori bianchi appena appassiti. In bocca ha maggiore rotondità, rispetto al più giovane è più glicerico, appare forse più caldo anche se il dato in etichetta ci smentisce, è certamente più sapido e di maggior persistenza. Davvero un bel vino. Fino a qui l’ipotesi che un annetto di più in bottiglia faccia solo bene è ampiamente confermata.
2017: bottiglia ossidata. Piatto al naso e di una freschezza scomposta. Imprecazioni varie.
2017: la disponibilità del produttore permette a stretto giro di posta un secondo esame. Stavolta ci siamo pienamente: nota di miele di acacia alla prima olfazione, poi arrivano gli agrumi, bergamotto su tutti, la mela prende il controllo solo dopo qualche minuto, ma senza coprire alcunché, restano erbe aromatiche col cenno di salvia. La freschezza è indomita, la voglia di berlo è tenuta alta dalla sapidità innegabile. Bella persistenza. Fino a qui l’ipotesi che due annetti di più in bottiglia facciano solo bene è ampiamente confermata.
2016: un’elegante cipria è la prima sensazione, ancora fruttato in bella evidenza con una nettissima mela delizia a perfetta maturazione, roccioso, di pietra (se fossi stato brillo avrei detto “terrazza del castello di Fosdinovo alle prime gocce di pioggia di un giugno piuttosto secco” ma ero sobrio e non l’ho detto, promesso). Al sorso ha una bella rotondità, una misurata grassezza che va ad equilibrare tutte le durezze ben conservate, e un bel finale amaricante che chiude piacevolmente. Fino a qui l’ipotesi che tre annetti di più in bottiglia facciano solo bene è ampiamente confermata.
2015: nota molto evoluta al naso, cenno di ossidazione, la mela è molto presente, come al forno, si pensa alla mela sciroppata (ma poi, esistono le mele sciroppate?). Comunque l’impressione generale, anche bevendolo, è che prevalga una diffusa morbidezza non adeguatamente contrastata. Si beve, certo, ma con i fratelli minori per anagrafe ma maggiori per qualità finisce per sparire un po’ ed andare in fondo alla classifica. Qui potrebbe fermarsi l’ipotesi degli annetti? È quindi di circa un lustro la prospettiva di questo Mezzaluna? Potrebbe essere un caso di bottiglia non in piena forma, al momento non ci è dato sapere, serviranno altre future analisi per le quali di ricandido volentieri. Intanto…
2014: nuance iodate e sassose come il 16, il miele del 17, una lieve pungenza che all’inizio non si sa bene se ricondurre ad una quasi impercettibile carbonica o ad una più vibrante acidità (poi si capisce, risposta numero due), una speziatura lieve, da zafferano. Tutto concorre a formare uno dei bagagli olfattivi migliori della gamma, quindi forse il quinquennio non era la fine. In bocca è estremamente piacevole, ancorché di non lunga persistenza, ma non mi risulta che siano molti i Colli di Luni Vermentino del 2014 che possano vantare lunghezze strabilianti. L’annata appare quindi perfettamente ed elegantemente raccontata.
Il bilancio di questo time travelling è pertanto pienamente positivo e la risposta alla domanda iniziale è certochessì, con il consiglio di approfittare ora dei prezzi particolarmente ragionevoli che l’azienda ancora pratica, anche all’interno del suo ristorante/agriturismo. Guardo nuovamente l’immagine del vigneto dall’alto. La Mezzaluna ha la gobba a ponente, sta decisamente crescendo.

I vigneti di Boriassi
PS: decido che il momento di “future analisi” è adesso. Attanagliato da dubbi ontologici quali “come sarebbe stata la 2015 in forma?” e “cosa faccio domenica con la famiglia?” decido che li devo risolvere entrambi. All’agriturismo Boriassi ci vado. Ancora una volta la gentilezza maison si manifesta. Assaggiamo insieme un’altra bottiglia del Mezzaluna 2015: un altro pianeta rispetto al campione precedentemente testato. Qui ci sono aromi ancora puliti, frutta ed erbacei di varia stagionalità, un floreale appassito, un beva con sufficiente riserva di freschezza e abbondanti risorse sapide. Certamente maturo, con un velo di ossidazione, ma forse per questo ancor più invitante.
Riguardo ancora questa volta non l’immagine satellitare, ma il vigneto proprio: dall’alto, dal basso, dall’interno, in mezzo a ceppi piuttosto attempati col fogliame screziato d’autunno, da lì osservo il panorama verso la stretta chiusura della valle, quegli ultimi cento metri di Toscana prima di vedere il torrente Calcandola, c’è un bel sole di mezzo ottobre. Si, abbiamo un Cru.