Alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo il sociologo francese Alain de Vulpian espose la sua teoria del deconsumo, cioè quella per cui i consumatori non riducono i consumi nel loro complesso, ma li ripriorizzano in funzione delle tendenze evolutive della società stessa (le driving forces). Oggi, a distanza di trent’anni, il mondo dell’enogastronomia di qualità si trova di fronte ad uno scenario di mercato simile.
Il cibo e il vino, infatti, nella società contemporanea di Paesi ricchi e Paesi emergenti, non rappresentano più solo un modo per alimentarsi, ma sono diventati anche uno stile di vita, una scelta salutistica, un profilo etico dell’individuo. Inoltre, essi definiscono per certi versi uno status symbol, creano economia ed occupazione ed infine sono un potente veicolo di promozione del territorio di produzione.
L’Italia poi è un Paese esemplare da questo punto di vista, in particolare nel rapporto fra cibo e prodotti tipici.
Un’indagine CENSIS del 2017 ci dice, infatti, che ben l’87% dei nostri connazionali mangia regolarmente piatti italiani (guardate che negli altri Paesi non è mica così!) e che il 77% di essi ricorre regolarmente a pietanze tipiche, legate alla tradizione del proprio territorio.
Ancora più interessante l’ultimo Rapporto CENSIS sull’Italia (dicembre 2017) che ci fa scoprire quali siano i principali consumi per i quali gli italiani sarebbero disposti a spendere un po’ di più, anche tagliando altri consumi (in pratica la ripriorizzazione dei consumi teorizzata dal sociologo francese).
Al primo posto (45,4% degli italiani) figura “almeno una vacanza all’anno di una settimana o poco più”; una cosa che ci aspettavamo e che dimostra come la vacanza sia ormai considerata un bene primario ed irrinunciabile.
Al secondo posto (40,8% degli italiani), invece, “l’acquisto di prodotti alimentari di qualità (DOP, IGP, tipici)”; un dato molto interessante, che se si mette in sommatoria con la terza motivazione (32,3% dei nostri connazionali) “ristoranti e trattorie” fa comprendere come l’enogastronomia di qualità sia una tendenza di consumo sempre più ponderante nei desideri di una massa importante di consumatori.
A questa tendenza della domanda bisogna però mettere in relazione gli effetti della crisi economica attraversata dall’Italia nell’ultimo decennio e le nuove forme di vendita del comparto alimentare (vini in primis).
Nel primo caso, se è vero che si è ridotta la capacità di spesa di un’ampia fetta di consumatori, è anche vero che nel 2017 i consumi alimentari sono ritornati ad essere quelli del 2008, sfiorando il picco pre-crisi. E se è vero che sono in aumento le vendite nei discount alimentari, è anche vero che i consumi di cibo e vini di qualità non hanno subito flessioni. Nel secondo caso, invece, i canali di vendita stanno radicalmente cambiando, anche nel nostro Paese, come le vendite online, dei cui effetti parleremo in un prossimo articolo della nostra rubrica.
Dunque, la tendenza evolutiva del consumatore italiano (ma questo riguarda anche altri Paesi) va verso una scelta di consumo ripriorizzata rispetto a vino e cibo di qualità, con conseguenze sociali ed economiche su un intero settore, un intero territorio, un’intera collettività locale.
Volendo vederla, poi, anche da un altro punto di vista, questa tendenza ha anche una conseguenza etica. Infatti, qui ci troviamo in una situazione inversa rispetto a quella che si genera in certe categorie di consumatori alimentari, per i quali la scelta di acquistare e consumare prodotti deriva da principi etici (per esempio il caso dei vegani). In questo caso, invece, è la scelta di consumare prodotti dell’enogastronomia tipica e di qualità che ne fa derivare una conseguenza etica.
Nel momento in cui io acquisto e consumo un vino tipico prodotto nei terrazzamenti liguri – per esempio – scelgo di mantenere quel paesaggio, quelle tradizioni, quel viticoltore, quella collettività locale. Non solo aiuto l’economia di una singola impresa, ma contribuisco a non disperdere l’esistenza stessa di una società che si riconosce anche nella propria comunità agricola e di essa ne dovrebbe andare orgogliosa.
Questa felice combinazione si concretizza, però, solo in quei territori a forte radicamento della cultura materiale locale e che siano seriamente impegnati nella valorizzazione sul mercato del proprio terroir vitivinicolo.