Avete presente gli enofighetti dei vini naturali? Ne esistono di diversi tipi, da quelli che o naturale o niente, a quelli che ogni tanto un prodotto mainstream ci può anche stare ma poi viene il mal di testa, da chi ama follemente le puzzette di volatile che fanno molto giovane a chi pretende un olfatto sincero ma senza traumi, c’è chi solforosa sì, chi solforosa no, chi solforosa un po’, l’importante è poter pensare di cambiare il mondo all’happy hour; si ritrovano in locali dedicati, dove se rimane in un angolo della cantina un bordolese anni novanta passato in barrique è solo perché è nel locale dagli anni novanta, e si sa che gli anni novanta erano avanti musicalmente ma come enologia sono fuori moda, sono posti dove si fanno proseliti al vino cosiddetto genuino, dove si spacciano frizzanti sui lieviti, e lo si fa apertamente, ma esistono locali dove, di soppiatto, qualche vino naturale arriva, magari piazzato da rappresentanti compiacenti, che non è che puoi proprio togliere dal listino i bolgheresi un po’ commerciali, ma quasi senza farsene accorgere fanno entrare in carta qualche prodotto in cui loro, segretamente, credono (con “carta” si intende quell’elenco dei vini disponibili che alcuni ristoratori farebbero bene a presentare, ogni tanto aggiornandolo); i produttori poi, sono ancora più disparati, si va dall’agricoltore che per toglierlo dalla vigna lo devi vendemmiare, all’uomo immagine che possiede l’azienda ma fango niente, con tutte le vie intermedie, pur con maggiore propensione per pettinature alla Stefano Bellotti che per giacca e cravatta.
Le idee sono in fondo simili, ma sono sparsi in associazioni diverse, alcune litigiose, come diceva Venuti ne I Cento Passi: “ci piace essere divisi, fare ognuno per conto nostro”, ma più che Giordana il regista di culto è Nossiter, che pare abbia convinto a bere alcuni astemi, qualche anno fa, e si parla di miracolo. Ad alcuni ci piace la Fivi, ad altri no o non ancora, ma in genere sono piccoli produttori, ché nei grandi numeri il capitale snatura il rapporto con la terra. Alcuni addirittura mettono in discussione il termine stesso di vino naturale, cercando definizioni più calzanti, ma ancora una parola migliore non s’è trovata e non è mica che possiamo creare un consorzio per il naming ché poi ci esce un obbrobrio tipo “talento”.
Comunque tutta questa popolazione un po’ strana si ritrova spesso a delle fiere, in luoghi sparsi per l’Italia, anzi, per il mondo, dove vedi pubblico che degusta, certo, ma anche produttori che si conoscono, assaggiano, scambiano bottiglie; alcune fiere rispecchiano le divisioni ideologiche (che a Fornovo, non si sa come, spariscono), altre no, sono un tantino più inclusive.
Sorgente del Vino Live è una di queste, alla decima edizione. L’inizio fu presso il Castello di Agazzano, bello, pittoresco e suggestivo, ma una diffusione di questa mania del naturale ha impedito di proseguire in un contesto logisticamente difficile con l’aumento del pubblico, allora dopo qualche tentativo SdVlive sembra aver trovato una sede definitiva in un prosaico padiglione della Fiera di Piacenza, a due passi dal casello. Così è più facile per tutti, per chi vuole comprare vino direttamente dal produttore, per i ristoratori che possono velocemente tornare al pezzo e per i produttori stessi, che infatti sono venuti da quasi tutta Italia, nordica ed insulare inclusa, a parte il Molise, che non esiste. A destar stupore è la presenza non di qualche foresto, Austria, Croazia, Slovenia e l’immancabile Francia, quanto quella di ben sei, dico sei, produttori liguri. Non che i liguri non si muovano mai, anzi, magari è proprio a Vinnatur a Genova che non si presentano, però fatte le debite proporzioni è come se il Piemonte ne avesse inviati ottocento.
Partiamo da levante, ecco Il Torchio, Castelnuovo Magra, del quale non saprei scegliere il preferito tra il classico Vermentino Il Torchio, sempre in annata 2015 (il 16 ha ancora da farsi un po’…) o il più recente Stralunato 2016, con quella nota aromatica data da un piccolo saldo di moscato ad arricchire l’olfatto tipico del vermentino in purezza.
Non me ne vorrà Alessandro Vignali, di Terra della Luna, Ortonovo, del quale non ho visitato lo stand avendo già assaggiato quello di Wine Revolution a Sestri Levante lo scorso novembre. Buonissimi e saporiti i bianchi, su tutti il Vermentino Plinio 2015, con freschezza da vendere e ancora diversi anni davanti.
A ponente, subito dietro Albenga, vive e lavora Fausto de Andreis, Le Rocche del Gatto. Un punto di riferimento per chiunque coltivi pigato, ma non solo. Spesso cerco di evitare questo stand, non per le frequenti novità e sperimentazioni che Fausto tira fuori dal cilindro rovistando in cantina, è che la pletora di annate dei tre bianchi, da sola, ha l’apertura alare di circa tre metri, e non è che qui si lesinino gli assaggi, il difficile è uscirne. Anche perché tra i sorsi, così tipici, così “maison”, c’è una variabilità stordente e, dovendo scegliere, la mia bottiglia preferita di un tempo, lo Spigau 2006 (si, l’anno dei mondiali, non è un errore) è stata scalzata dall’annata 2010 sia nel “semplice” Vermentino che nel più austero Spigau.
Sempre dietro Albenga, ma più in su, a Ranzo e quindi già nell’imperiese, c’è Luca Deperi: buono il pigato Secagna 2016, ma scelgo il rossese Resureo 2016 con la sua gran beva fresca ed invitante, come il suo profumo di marasca e di pepe, tutto varietale, insomma.
VisAmoris, in quel di Imperia, lavora solo il pigato, ma con una produzione tutt’altro che monotona. A partire dai due metodo classico, sono stati i primi a spumantizzare il pigato, per finire col saporito passito Dulcis in Fundo, ma è nel mezzo che ho il coup de coeur, nelle due annate del Verum, pigato con 5 giorni di macerazione sulle bucce, sia la 2014 che la 2013 con un bel naso di incipienti piacevoli idrocarburi, con quest’ultima a farla da padrone per il finale di bocca di grande pulizia e sapidità.
Poi c’è Rosmarinus, azienda che guarda l’estremo ponente dall’alto di Perinaldo e che produce due Rossese di Dolceacqua, di cui il mio preferito è stato una delle ottocento bottiglie del Posaù 2016, conferma che i grandi terroir mica ce li hanno solo i cugini oltre le Alpi Marittime.
La Liguria è finita. SorgentedelVinoLive anche. Alla prossima fiera, naturalmente…