Quando uomo e vino si fondono in un tutt’uno, diventando uno espressione dell’altro. A Riomaggiore

nella foto la collina di Bargòn
Sei ricco.
Sei un’ambra luminosa, splendente, ti si potrebbe incastonare. Hai profumi sontuosi, di frutta disidrata in primis, albicocca su tutti, ma non è da sola, è una di quelle confezioni di Romanengo di quando ero piccolo, per dire qualcosa di ligure, e di ricco; poi c’è la frutta secca, la crema di arachidi, le erbe aromatiche, e una nota marina, rocciosa. In bocca sei caldo, avvolgente di ricchezza glicerica, e dolce, decisamente dolce, che ci vuole tutta la sinergia tra la freschezza e la lunghissima sapidità a reggere il confronto, ed è un confronto, un equilibrio, verso l’alto, già perfetto ora, chissà cosa sarai in futuro, anche grazie a quella lieve presenza tannica che conferma l’idea iniziale: vivrai a lungo, come il finale di bocca in cui la via retronasale riporta sentori di rosmarino così puliti che penso alla focaccia all’uva. Sei e sarai memorabile. Sei lo Sciacchetrà 2015 di Terra di Bargòn. Penso a cosa abbinarti, oltre alla pasticceria secca, la più semplice possibile, mi vengono in mente diverse cose, anche piuttosto strutturate, ma tutte rischiose, tutte possibili distrazioni. Tu sei il dessert, da solo; da meditazione si dice, ne sei lo stimolo e ne puoi essere lungamente l’oggetto.
Sei ricco, hai tutto quello che ti serve.
Sei un contadino.
Così mi hai detto al telefono per l’appuntamento, “per queste cose c’è mia moglie”. Falso.
Non che tua moglie non ci fosse, beninteso, Alessandra ha risposto subito, accogliente e pragmatica, dando la sensazione che il suo ampio contributo da curatrice (in senso artistico, mica medico) a tutta l’attività sia indispensabile. Ma tu non sei solo un contadino, non me la racconti.
La terra la sai lavorare, eccome, e ti piace, ma se fossi solo questo sarebbe tutto diverso. Intanto a Riomaggiore non puoi essere solo un contadino, sei anche un architetto del paesaggio, un custode, questo vale per chiunque faccia agricoltura dalle tue parti. Lo si vede bene arrivando a Bargòn. Tornerò quest’estate, ma arrivarci d’inverno è meglio, così di questa collina si vedono le ossa, le strutture: le serie di muretti a secco, pali, cavi, le viti più vecchie e quelle che stai piantando adesso per colmare le fallanze, gli impianti per la pergola che stai cercando di alzare un po’ (sai com’è, la schiena), tanti grigi, che adoro, e il verde delicato dell’erbino, qui non si scherza con l’umidità, siamo esposti a nordovest, hai altri terreni in Costa de Sera, da lì prendi forse più corpo, ma qui l’acidità è un valore da mantenere.
Non sei solo. Di tua moglie ho detto, ma hai anche i tuoi fratelli intorno che coltivano personalmente porzioni del terreno, hai saputo conservare legami famigliari forti, certamente saldati intorno all’eredità paterna comperata al ritorno dal viaggio in America (gente più nobile di noi disse che il vino è “opera fondiaria”), ma guarda che è mica da tutti riuscire a collaborare in questo modo tra parenti, non si deve andare molto lontano da te per trovare l’incolto, appezzamenti abbandonati anche per l’eccessivo frazionamento, delle proprietà e delle volontà. Quindi non sei solo un contadino, sei anche un manager delle risorse umane, il meno fordista che conosco, ovviamente.
Non avrai studiato enologia, ma il vino lo fai benissimo, sei un kellermeister coi fiocchi. Lo fai secondo tradizione, come ti hanno insegnato un tempo, e come, nel tempo, hai imparato dall’esperienza. Hai scelto un uvaggio in cui il Bosco (60%) è al minimo consentito dal disciplinare laddove non si voglia aprire ad uve diverse dalle tradizionali Vermentino ed Albarola, ché profumi ed acidità garantite da queste ultime due sono essenziali. Hai scelto di fare solo Sciacchetrà, per passione sicuramente, ma anche per buon senso, disponi di una cantina dalle ridotte dimensioni, col bianco secco non ci saresti stato fisicamente, e hai fatto bene, hai anche meno problemi di marketing, già il mercato chiede più Cinque Terre di quanto se ne riesca a produrre oggi, con il passito il problema è conservare uno storico di cantina per esami futuri.
Non fai solo vino. Sai perfettamente quanta promozione del tuo territorio realizzi portando turisti ed appassionati nella tua piccola ma ospitale cantina. Sei anche una guida turistica, un ambasciatore. E ci tieni, ti piace, vuoi raccontare tutto quello che fai e che vivi, perché è il tuo sogno, e l’hai realizzato, tutto te lo conferma (l’A.I.S. per dirne una, mica li regala i quattro tralci sulla sua guida).
Insomma, sarai anche un contadino, ma bevendo il tuo Sciacchetrà ho capito una cosa. L’ho capita in un istante preciso, non so se lo hai notato, un momento della nostra bella conversazione in cui ho alzato lo sguardo dal calice trovandolo compiuto in se stesso, come in un’epifania joyciana, ma positiva, è una cosa che accade nella migliore delle ipotesi, tra i vini che sanno esprimere perfettamente il loro territorio ce ne sono alcuni che sanno esprimere perfettamente anche chi li fa, e ti fanno dire “ecco, ne ho trovato uno”: hai messo insieme tutta la tua storia, tutte le tue risorse, tutti i tuoi affetti, tutte le tue conoscenze e tutte le tue forze, e fai grandi cose, non vuoi di più, non ti manca niente. Roberto Bonfiglio, sei il tuo vino.
Sei ricco, hai tutto quello che ti serve.
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Mi permetto solo di aggiungere un passo di ciò che scrissi nella recensione al RISERVA 2011 nella guida AIS VITAE 2017: “il finale è un dialogo ancestrale fra la terra e l’uomo: un equilibrio alchemico che genera grandezza”.
Saluti a tutti – Davide