Visita all’Azienda Santa Caterina di Sarzana, dove il lavoro nei campi è “una faccenda attraente”

nella foto i vigneti dell’Azienda Agricola Santa Caterina
Giuro, è stato lui. Ad un certo punto della nostra conversazione, Andrea Kihlgren si è definito così. Non esattamente “ad un certo punto” in realtà, è stato verso l’inizio del lungo dialogo, quando era partito il racconto di come lui avesse accettato di raccogliere l’eredità materna di quelle proprietà agricole in cui da piccolo amava respirare l’atmosfera bucolica. Ma da lì ad essere esperto di agricoltura ce ne passava, il lavoro nei campi era faccenda attraente, ma ancora in modo astratto, normale che, oggi, arrivi la definizione di “perfetto ignorante”. Ecco, ho trovato il titolo che cercavo.
Così posso scomodare l’abc degli studi filosofici su cui si imperniava la vita precedente di Kihlgren, quel Socrate che tutto faceva partire dalla consapevolezza di non sapere come motore inesauribile della conoscenza, calzante con il modus operandi del nostro che da sempre, e ancora oggi, mette tutto il suo operato in discussione, osservando umilmente, cercando di capire la natura di fronte a sè più che imporre le proprie scelte agronomiche ed enologiche.
E così inizia un percorso di conoscenza di terreni e vitigni, di analisi delle varietà presenti. C’è del Tocai? (oggi dobbiamo dire “friulano”, ma tant’è) Bene, lo si tiene, anche se non è in denominazione di origine. C’è del Sauvignon blanc? Idem. E vanno insieme, visto che insieme stanno nel vigneto, e il nome del vino (Giuncaro) sarà quello del vigneto, come unica scelta possibile di chi, attraverso il vino, vuole trasmettere esattamente il senso di un luogo. C’è dell’Albarola? Ottimo, la si vinifica in purezza, valorizzando un’attività agronomica che ha portato alla selezione di un biotipo proprio, ora detto “Albarola Kihlgren”. Anche le altre varietà presenti vengono mantenute, la Merla, il Merlot, sempre procedendo a reimpianti ove necessario, ad essi si è affiancato il Sangiovese, nel rispetto della Doc Colli di Luni Rosso.
Ma questo viaggio non è stato facile, in una fase iniziale di adesione ai protocolli agricoli consueti nei secoli dell’industrializzazione si forma un vuoto, una mancanza di senso, di risultati e di appagamento. La risposta arriva, e dopo una prima conversione all’agricoltura, ne avviene un’altra, non priva di fatiche, rischi ed errori, con l’abbraccio delle teorie antroposofiche e l’abbraccio della pratica biodinamica. Oggi che il biologico va anche di moda, che in molti si sono accorti che tra i più grandi produttori del mondo sono numerosi quelli rispettosi della natura, può sembrare una scelta di minor valenza. Ma quel “perfetto ignorante” mosso giusto da un senso di responsabilità verso l’eredità materna s’è rivelato, presto, un ignorante perfetto, perché con le spalle larghe per potersi ripensare, ancora una volta, ha rivisto i rapporti con le innumerevoli vite e le energie presenti in quei luoghi che gli erano dati, e con il dovuto rispetto ha imparato a concepirsi come un custode, lavoro tanto più nobile quanto più capace di farsi umile.
Di vino, guarda un po’, non ne abbiamo bevuto. Ancora mi chiedo come sia passato così in fretta il tempo della conversazione. Poco male, questi vini li assaggio e li bevo spesso, ad esempio alla recente Wine Revolution di Sestri Levante dove, per scegliere all’interno di una gamma sempre interessante, mi si è confermata la mano felice del produttore sul Merlot del vigneto Ghiaretolo, vitigno che amo solo a certe condizioni, con la sua freschezza e sapidità a far da contralto alla naturale morbidezza della cultivar.
Chiudo con ciò con cui si è aperto il nostro incontro, uno sguardo alla libreria della stanza dove sono stato ricevuto: tanti settori, tanti saperi, poi vedo tanto dei grandi russi dell’800. Ecco, mi pare fosse Umiliati e Offesi di Dostoevskij, c’è una frase che mi ha sempre ricordato l’agricoltura di valori: “c’è da meravigliarsi a considerare quanto può influire un solo raggio di sole sull’anima di un uomo.”