Alla scoperta di un bianco antico recuperato grazie ai produttori della Val Fontanabuona e non solo
Coltivato nel chiavarese da almeno 4 secoli, lo Scimiscià (Simixà o Cimixà), dopo un periodo di semi abbandono, è tornato alla ribalta della scena vinicola regionale. Questo vitigno a bacca bianca di origini antichissime e dal nome dialettale – da “cimiciato”, ossia puntinato, per la presenza di piccoli segni sugli acini simili a quelli lasciati dalle cimici (simixa) quando incidono la frutta – ha rappresentato infatti per i viticoltori locali un patrimonio da salvare. Basti pensare che in passato questa varietà zuccherina e con un grado di acidità maggiore rispetto ad altri vitigni autoctoni (ad esempio il Vermentino), produceva pregiati bianchi locali e veniva impiegata per migliorare i mosti di varie uve.
Presente soprattutto nella Val Fontanabuona, tra Chiavari e Lavagna, lo Scimiscià dagli anni ’90 del Novecento, è oggetto di un processo di recupero e valorizzazione da parte di più attori. In linea con la tendenza ligure degli ultimi tempi che riscopre i vitigni minori condannati a scomparire, Marco Bacigalupo, ex pasticciere della Val Fontanabuona e pioniere nella salvaguardia dello Scimiscià, decide di donare gli antichi filari alla Cooperativa Agricola San Colombano. Così è cominciata la rinascita dello Scimiscià.
Con la collaborazione dell’agronoma Silvia Dellepiane e di Lorenzo Corino, docente dell’Istituto sperimentale per la viticoltura di Conegliano Veneto, sezione di Asti, sono iniziate le analisi ampelografiche e le prove di microvinificazione di vino puro. Da subito i primi risultati hanno dimostrano il successo del progetto che ha dato vita a un vino bianco paglierino con riflessi verdognoli, sapido e di buona persistenza.Dopo anni di duro lavoro, a seguito di analisi, studi e sperimentazioni, nel 2003 la varietà Scimiscià viene iscritta nel Registro nazionale dei vitigni.
Dal 2003 il vitigno vive un fertile periodo di crescita grazie alla collaborazione della Provincia di Genova e dei viticoltori locali, che hanno creduto e investito nella potenzialità del vitigno, in grado di produrre vini dall’importante struttura e dalle interessanti potenzialità di invecchiamento. E per la buona riuscita dell’impresa è stata determinante un’altra caratteristica dello Scimiscià, e cioè una buona adattabilità a terreni rocciosi e aridi, alla stregua degli olivi, seppure la delicatezza dei grappoli, sensibili a muffe e scottature, lo renda una pianta delicata. Dal rischio di estinzione, quindi, lo Cimixà di strada ne ha fatta, e anche parecchia: non solo resta un prodotto che vinificato in purezza produce ottimi bianchi secchi ed interessanti passiti, anche se la resa in vino è bassa, ma da vino da tavola è passato a IGT e successivamente alla DOP Golfo del Tigullio Portofino. I produttori di Scimiscià restano pochi, è vero, ma da questo vitigno dalla storia turbolenta ci aspettiamo ancora grandi cose.