A Montecatini anche la Liguria fa la sua parte. Ecco le etichette con la chiocciolina
Lo slogan del momento di assaggio a latere della presentazione della Guida Slow Wine 2019 (l’anteprima a Montecatini, lo scorso 13 ottobre) recita “la più grande degustazione di vino dell’anno”. Ora, magari l’uso del superlativo relativo potrebbe essere considerato un po’ ambizioso, per verificarlo dovrei girare davvero tutte le manifestazioni del genere e non ho il fisico, ma al di là dei numeri che si potrebbero sciorinare (bastano 600 produttori per circa 1000 etichette?) è assolutamente certo che di fronte a così tanta e magnifica scelta di ciò che offre il panorama vitivinicolo italiano la sensazione è quella di celebrare il secondo centenario del “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich con lo stesso, sublime, smarrimento del protagonista. E non parlo, non solo almeno, dell’impatto visivo dello stuolo di banchi dentro le Terme Tettuccio, che col loro essere neoclassiche, ma anche liberty, ma anche fuori dal tempo come mi paiono sempre un po’ tutti gli stabilimenti termali, lasciano a bocca aperta. Immagino un mio omologo di altre regioni come Piemonte, Toscana o Veneto, che volesse avere il quadro completo dei premiati suoi conterranei, cedere per stordimento (lo stesso stordimento, forse più una transverberazione, che ho avuto al convegno mattutino ascoltando Armando Castagno).
A ciascun produttore è concesso di portare i vini premiati (che sia la bottiglia del “grande vino”, la chiocciolina del “vino slow” o il titolo di “vino quotidiano”) con poche eccezioni riservate alle aziende griffate con la chiocciola grande che testimonia l’aderenza ai principi “slow”: buono, pulito, giusto. Tutto questo alza enormemente l’asticella del livello di partenza degli assaggi, qui c’è già stata la selezione, praticamente anche andando a caso non si sbaglia un colpo.

Walter De Batté, Heydi Bonanini e Luciano De Batté
Ma io a caso non vado, mi precipito sulla piccola colonia ligure.
I Colli di Luni, oltre che dal Felce Bianco 2017 de La Felce di Andrea Marcesini premiato con il titolo di “vino quotidiano” dopo aver modificato il nome “vino quotidiano” che aveva in precedenza, sono rappresentati dal Solarancio 2016 de La Pietra del Focolare di Laura Angelini, in equilibrio tra la finezza dei profumi più floreali e i cenni di mineralità, con una bocca freschissima, e dall’azienda Santa Caterina di Andrea Kihlgren, che ha portato sia due vermentini fuori denominazione, l’Etichetta Bianca 2016, molto piacevole e perfetto già adesso e il LM 2016, ove “L” sta per lunga e “M” per macerazione, dalla sapidità pari al suo grande potenziale, ancora non del tutto espresso, che un rosso il Vigna Chiusa 2015, per lo più da Canaiolo, complesso al naso con le note balsamiche a completare il quadro floreale e fruttato e una bocca dagli spigoli interessanti, a chiamare cibo.
L’area delle Cinque Terre è rappresentata da tre aziende. Possa di Heydi Bonanini, con il Cinque Terre Doc 2017, caratterizzato dalla padronanza della macerazione sulle bucce che produce un calice dorato, un naso pulito e una bocca ricchissima, con la sapidità territoriale che arriva in fondo, a chiudere il sorso; e U Neigru 2017, che alla frutta di polpa unisce l’arancia rossa per un bella tensione che si conferma in bocca, tannico il giusto, tutto da bere. C’è poi la Cantina Cinque Terre, rappresentata immancabilmente dall’entusiasta ed entusiasmante Luciano de Battè, con lo Sciacchetrà Riserva 2012, a tingere di ambra il colonnato delle terme, una conferma che a tenerlo un po’ di più lì, lo Sciacchetrà riesce ad esprimersi come deve, cioè al meglio. Primaterra, non solo, ma soprattutto, di Walter de Battè, con il Carlaz 2017 e Harmoge 2013, entrambi da manuale quando si vuole spiegare il concetto di complessità olfattiva, e anche quello di sapiente aderenza territoriale.

Riccardo Bruna (Az. Bruna), Maurizio Anfosso (Ka Manciné), Alessandro Anfosso (Tenuta Anfosso), Filippo Rondelli (Terre Bianche) e Danilo Tozzi (Vis Amoris)
Più ponente che levante quest’anno. Il Savonese vede tre Pigati, il 2017 di Durin premiato come vino quotidiano e due prodotti dell’azienda Cascina delle Terre Rosse che ha portato l’Apogeo 2017, ricchissimo al naso, e il “grande vino” L’Ottava Meraviglia 2017, che rispetto ad un assaggio estivo ha davvero sistemato tutte le sue componenti, ed ora una meraviglia lo è davvero.
A guidare la regione c’è l’imperiese. I pigati sono quelli di Deperi (vino quotidiano per il 2017), di Vis Amoris (bei sentori agrumati per il Metodo Classico 2013 ed un naso autorevole per Sogno 2017, già in beva adesso nonostante l’evidente potenziale evolutivo), di Maria Donata Bianchi (il 2017 ha fiori bianchi e mela golden al naso, e un finale piacevolmente amaricante che chiude bene una bocca calda e freschissima) e di Bruna (che ha portato un ottimo Le Russeghine 2017, quasi a prepararsi per una versione magnifica di U Baccan 2016, mineralità da chenin e bocca praticamente perfetta).
C’è ancora da menzionare l’Ormeasco di Pornassio 2017 di Cascina Nirasca, altro vino quotidiano.
E poi ecco i Rossese di Dolceacqua. Uniti nella diversità, si potrebbe dire. Tutti vini che hanno la matrice comune, varietale, riconoscibile, ma che la declinano secondo le specificità del rango (i vini cosiddetti “base” fanno il loro, egregiamente) e del singolo vigneto, esprimendo le nomeranze (i cru locali, per chi ancora non lo sapesse) con interessante chiarezza. Lo so, sembra di parlare di zone poco a sud di Dijon, e invece dalla Francia siamo ad un tiro di schioppo. Parto da Ka Mancinè di Maurizio Anfosso, non foss’altro per citare il suo aneddoto “il rossese ha un pregio e un difetto: il pregio è che è buono subito, il difetto è che è buono subito”. Il suo Beragna 2017, erbaceo e terroso, fruttato e speziato, è davvero buono già ora, ma sentirlo tra qualche anno potrebbe essere una grande esperienza.
La regina di Dolceacqua, Giovanna Maccario della Maccario Dringenberg, ha portato il “base” 2017, solido e pronto da bere senza alcun freno, e il Luvaira 2016, naso già importante, bocca agile, di nuovo da averne in quantità per moltiplicare gli assaggi nel tempo. Stessa nomeranza per Tenuta Anfosso di Marisa Perrotti, il Luvaira 2016 è già grande adesso, eppure lascia immaginare più ampie possibilità, è evidente che il vigneto ha una sua forza, che i produttori possono solo amministrare. Lascio in fondo Terrebianche, di Filippo Rondelli, non già per i vini presentati, forse quelli che più di altri vorrei bere tra qualche tempo, sia il “base” 2017 che la nomeranza Terrabianca 2017, con la sua arancia rossa speziata ai chiodi di garofano che pare una decorazione natalizia, lo lascio in fondo per la passione che trasmette, per la competenza che dimostra, per la consapevolezza che traspare dalla conversazione, perfetto simbolo del clima positivo tra gli stand regionali a Slow Wine, e forse della viticoltura ligure in questo momento: l’idea di fare squadra c’è, i giocatori buoni ci sono, da qualche giorno c’è anche il CT migliore possibile.
La torta di riso non è finita.