Antefatto
Trenette. La forma allungata e piatta le ha associate alle bavette (“specie de paste da menestra in fila lunghe e sottili, scrive il Fanfani nel suo dizionario nel 1863”). Quindi su e giù per l’Italia le trenette si trovano associate a una pasta in forma sottile definita anche tagliatellina. Ma diversi sono i nomi delle trenette: bavettine, linguine, lingue di passero, tagliatelline, fettucce, lasagnette, pappardelle. Il termine trenette deriva probabilmente dalla parola araba “tria”, con cui si indicava la pasta fatta a mano. Di radice araba. Ma lo studioso Enrico Calzolari ritiene derivi da ‘tremnu’, altare votivo secondo le religioni naturali antiche, perché questo tipo di pasta era offerto sull’altare alla dea madre per ottenere fecondità. La memoria collettiva ha forse dimenticato che nelle memorie degli anziani c’è il ricordo di quando si facevano in casa (con tantissime uova) da offrire alle puerpere in omaggio alla nascita (Camporesi). E per invocarne una seconda, subito. Un tempo i figli erano una fonte di reddito e già piccoli venivano addestrati alla vita dei campi. Il che fa presupporre che la forma allungata e sottile stesse a indicare un filo, quello del cordone ombelicale che unisce il bambino alla mamma. Interpretandolo come congiunzione con il cielo. E questo perché, come sostiene Calzolari, le forme del cibo sono probabilmente da collegarsi a riti tribali di invocazione.
Trenette a stuffo di fagioli alla spezzina
Ingredienti
400 g di trenette
150 g di fagioli borlotti freschi già lessati
(ottimi i fagioli dell’aquila di Pignone)
150 g di carne trita
1 cipolla piccola
vino bianco secco
150 g di pomodori pelati
Oppure
concentrato di salsa, a piacere
40 g di burro
2-3 foglie di salvia
olio di frantoio
1 rametto di rosmarino
sale marino
e pepe
Preparazione
Far rosolare nel burro, fino a quando prende un leggerissimo colore, la cipolla affettata sottilmente. Unire la carne trita, la salvia e il rosmarino, tritati insieme. Far insaporire per qualche minuto, quindi passare i fagioli borlotti freschi lessati e aggiungere la crema con un mezzo bicchiere di vino bianco secco. Girare con cura e far sfumare, quindi salare e pepare. Ora versare il pomodoro, girando sempre in continuazione. Abbassare il fuoco e far cuocere per almeno 50 minuti con il coperchio, girando sempre spesso. Ecco lo ‘stuffo’*, con cui vanno condite le trenette al dente in una grande ciotola. Qualcuno preferisce profumare sul piatto con formaggio sardo, ma un volo di formaggio parmigiano la rende decisamente più armonica. Sempre un filino d’olio di frantoio sul piatto, servito molto caldo.
*A stuffo. Così è citata la pasta nel libro di Orietta Zanini De Vita ‘Atlante dei prodotti tipici. La Pasta’ (AGRA Rai Eri, 2004). Il termine deriva dal greco (tupho, affumicare, cuocere lentamente).
Eccellenza
I fagioli dell’aquila di Pignone e del Casale, due bellissime valli della Val di Vara, danno il meglio di sè nella elaborazione lunga dello stufato. Quindi vi sono leggi trasmesse per voce, che le donne hanno tramesso alle loro figlie per fare una cucina sana e gustosa. Come quella che per tutti i fagioli non si deve mettere sale durante la cottura, ma soltanto alla fine. E le donne delle due valli (Casale e Pignone), dove i fagioli sono prodotto eccellente, sanno che agendo così resteranno belli sodi, ma anche pronti a trasformarsi in una morbida salsa.
Abbinamento genius loci
Un piatto come questo, che sa di entroterra di Liguria dal volto asciutto e aspro, ha bisogno di un vino che abbia respirato la stessa aria e sia nato nella stessa terra. Come l’Imara Rosso della Liguria di Levante, che Ivano Luigi De Nevi produce a Cornice (Sesta Godano). Denominazione IGT. Vitigni: merlot in dominanza, cabernet sauvignon e quel tocco minimo di pollera che, sicuramente, gli dà il tocco del genius loci.