Il racconto di una vignaiola e sommelier, Manuela Bertolotto. Che, con le figlie, continua a fare vino
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C’è chi sopravvive.
Mario Bertolotto se n’è andato tre anni fa, all’improvviso. Aveva terreni da lavorare, liste della spesa, vino da affinare, premi da ritirare e ancora tanto da trasmettere alle tre figlie e alla moglie su come condurre l’azienda di famiglia. A quel punto, bivio: vendere tutto o rimboccarsi le maniche ed imparare sul campo tutto quello che non è stato insegnato da un padre in fondo un po’ geloso dei suoi saperi. In nessun momento della mattina trascorsa con Manuela Bertolotto mi è parso che la prima ipotesi sia stata realmente presa in considerazione. Tutta la famiglia si è buttata a capofitto nel fare la cosa più semplice, cercare di continuare a fare vino come lo faceva papà, magari pure meglio, dedicandogli il lavoro, e prima o poi anche un vino fantastico.
Ci vuole aiuto, però. Per il lavoro in vigneto, innanzi tutto, per poter prendere prima dimestichezza con le pratiche di cantina, e per questo ci sono i collaboratori di sempre, ciascuno con un proprio piccolo appezzamento, per poter curare meglio le piante, ma dimenticatevi i vigneti giardino tutti in ordine, l’inerbimento naturale regna sovrano, a tutto vantaggio della concorrenza per l’acqua superficiale. Per le pratiche di cantina ci vogliono consigli, ma siamo a due passi da Framura, e lì, come ben sanno quelli che sanno di vino in Liguria, un appassionato ed autorevole mentore che dia pareri illuminati lo si trova. Per vendere il vino, poi, non guasta che la denominazione Colline di Levanto, nel suo complesso, stia crescendo, e bene. Non più solo all’ombra delle famose Cinque Terre, ma con un’identità più precisa, con nuovi o rinnovati produttori ad affiancare la locale cooperativa e con disciplinari più intelligenti e stimolanti.
Ma veniamo alla mia visita. Manuela mi fa assaggiare i due Colline di Levanto Bianco Doc accompagnandomi nei due vigneti in cui vengono prodotti (con la collaborazione di fidati conferitori negli appezzamenti immediatamente adiacenti), entrambi i vini hanno la capacità di restituire quasi puntigliosamente nel calice le caratteristiche dei terroir che li generano.
Il Costa de Muntetu 2017, nasce a Montaretto. Alla vigna ci si arriva solo a piedi, immersa com’è tra i cerri percorrendo viuzze che seguono i ciglioni, un paesaggio sonoro fornito solo dalle gazzarre degli uccelli, una vista sulla valle che scende, e poi tutto il mare che uno sguardo solo può abbracciare. Nel bicchiere ci sono profumi di macchia mediterranea, la freschezza pimpante, giungevano buffi salmastri al cuore, era la tesa del mare, un’importante e lunga sapidità.
Il Costa di Brazzo 2017, invece, proviene da un terreno oltre la frazione di Dosso, stessa altitudine, ma, sembra incredibile, non si vede il mare. Si sale tra i ciuffi delle canne, tra i mille verdi della vallata, esposti a sud-est. E guarda un po’, il calice rende profumi floreali e finemente erbacei, è certamente saporito, ma a prevalere è la freschezza, complice anche il maggior apporto dell’albarola. Qui ci sono anche le uve rosse, non solo sangiovese e ciliegiolo che devono esserci per disciplinare, compaiono anche merlot e syrah, che Mario portò con sé da un viaggio di studio in Francia, innamorandosi del Bordeaux. E come a testimoniare quanto il vino nasca da una volontà, da un progetto, il Colline di Levanto Rosso Etichetta Nera 2016 ha un elegante olfatto erbaceo “tres bordelais”, ha calore e morbidezza sufficienti ad essere già in beva adesso, lasciando che a dominare il sorso sia la sapidità del luogo.
Dopo diverse ore di conversazione (argomenti ne abbiamo, Manuela è Sommelier AIS), scendiamo poi in cantina, il frutto di tutti i possibili investimenti paterni. Assaggio il Colline di Levanto Vermentino 2017, da vari vigneti aziendali. Questo forse va aspettato qualche mese, il buon sapore c’è, il corpo pure, ma la parte del leone è di una straripante freschezza agrumata. I pensieri vanno, lo so, è un po’ ovvio, a Montale, dal quale provengono tutti i corsivi del testo: qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l’odore dei limoni.