Anche le aziende regionali presenti a Piacenza. I produttori e le etichette in mostra e assaggio

Fivi 2018, Mercato dei vignaioli indipendenti a Piacenza
Al Mercato della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti di Piacenza (24-25 novembre 2018) era presente solo una parte dei circa 1200 produttori associati in questa realtà in continua crescita fin dal 2008. Solo una parte, però, vuol dire 602 tavolini in ordinate file di un padiglione di Piacenza Fiere, un colpo d’occhio che manco Saruman di fronte agli orchi, anche inebriante se vogliamo, ma con un senso di profondo smarrimento per i numerosi appassionati (si parla di circa 15000) che sono arrivati per assaggiare e acquistare direttamente sfruttando la logistica piuttosto semplice nonostante l’affollamento. Praticamente, per loro, il paese dei balocchi. Di quei 602 produttori, 595 non erano liguri.
La Pietra del Focolare, di Laura Angelini e Stefano Salvetti, ha portato, da Luni, alcune novità. Tra i bianchi ci sono il Solarancio 2017, che inizia il suo percorso con passo elegante e raffinato, e L’Aura di Sarticola, del quale determinare l’annata è più difficile, forte com’è della sua sperimentale vinificazione, realizzata con feccia madre di tre annate diverse sui mosti di un paio di vendemmie. Questa versione, che potremmo dire 2015-16, nonostante un po’ di legno da integrare, è già stupenda adesso, probabilmente una delle punte maggiori dei Colli di Luni, pur restando inevitabilmente fuori dalla Doc. La sfida tra i due rossi, entrambi Colli Di Luni Doc, la vince, oggi, il Saltamasso 2016 per il tannino appena ruvido e saporito e la retronasale precisa nel restituire i frutti e l’erbaceo dell’olfatto, ma solo perché La Merla del Becco 2016 ha ancora da perfezionare il rapporto tra il corpo robusto e l’apporto della botte; col tempo, anche in virtù del naso già molto elegante, probabilmente vincerà quest’ultimo.
Conferme per Il Torchio di Gilda ed Edoardo Musetti. L’annata 2017 già assaggiata a Wine Revolution è un vero piacere, specialmente laddove in cantina si divertono a giocare un po’. Eppure l’assaggio del Colli di Luni Vermentino Il Torchio 2016, confrontato col fratello minore di un anno non lascia dubbi, l’apertura aromatica agli idrocarburi dopo un po’ di permanenza in bottiglia è una indubbia ricchezza visto che mela ed agrumi restano solidamente nelle narici. Non voglio dire di aspettare a comprarlo, dico di comprarne il doppio, tanto durerà.
Di quel che produce Daniele Parma, de La Ricolla, a Né, s’è già detto tanto, ultimamente. In questo mese intenso di fiere però non avevo ancora assaggiato il Sarvaego 2017, Vermentino Passito in Portofino Doc. Il nome, come il vino, è un autoritratto di Daniele, giacché indica la persona di modi anche rustici che non manca però di buone maniere. Il vino, come il nome, è ancorato al suo territorio nel suo presentare profumi spinti da un pizzico di volatile, che spaziano dalla frutta essiccata e candita, sia agrume che albicocca, ma con terziari da delicato patè di olive, taggiasche. In bocca è dolce, saporito, ancora agrumato, di disarmante facilità di beva nonostante possa ancora equilibrarsi e librarsi. È nato dopo una pluriennale “fase di studio” in cui il rude vigneron si è sempre mangiato i racemi, ossia i grappoli rimasti a maturare, se va bene, dopo la vendemmia; finalmente convinto dalla signora, che ringraziamo, Daniele ha deciso di smettere di ingerirli e provare a vinificarli dopo opportuno appassimento. Molto meglio così.

Fivi 2018, Mercato dei vignaioli indipendenti a Piacenza
A Balestrino, nel savonese, c’è Berry and Berry di Alex Berriolo, forte della sua esperienza con aziende della zona e di un patrimonio di terreni non ampio ma diversificato in tanti appezzamenti che nemmeno a Volnay da cui coglie tante sfumature diverse, propone una gamma davvero personale. Spiccano il Pigato Campulou 2016, così tipico e dal bel finale di bocca invitante, e il Sangiovese Poggi del Santo 2016, questo invece così diverso da tutto il resto, sia dai rossi vicini, che dai numerosi Sangiovese che si possono assaggiare in mezza Italia, qui ci sono frutta in confettura e speziatura tutt’altro che dolciastra, passaggio in legno che non cede alle morbidezze ma mantiene una bocca austera, pietrosa, un finale amaricante e un tannino appena ruvido che creano un insieme molto gastronomico, che chiama con forza il cibo.
La famiglia di Luca Deperi, da Ranzo, presenta la sua gamma, quasi per intero. Dico quasi perché il Rossese Resureo è finito, succede facilmente quando si fanno poche bottiglie ed il vino è buono. Ottimi comunque gli altri: il Rivierasco 2016, quasi tutto Ormeasco (il resto è nel vigneto, e non è che si può sapere tutto delle viti vecchie), ha naso elegante, per nulla piacione, speziatura da vitigno e la giusta dose di freschezza; il Creuza 2017 è un rosato che all’Ormeasco unisce uve del sud della Francia, e che i migliori rosati del sud della Francia ricorda per sapidità, speziatura e facilità di beva; su tutti, però, l’Oro Castagno 2017, Pigato passato sapientemente in legno, che mantiene intatto il suo fresco vigore godendosi la maggior struttura e morbidezza dalla botte, un gran finale sapido e lungo, notevole.
Ogni volta che mi avvicino ad uno stand di Vis Amoris, Imperia, nonostante lavorino solo un’uva, il Pigato, non ho mai il timore di annoiarmi, c’è sempre qualche novità. Buoni i Metodo Classico, sia il Brut 2013 che il Pas Dosè 2012, entrambi accomunati da un sapore di mandorla, nel primo è dolce, praticamente un confetto, nel secondo è accompagnata da sentori erbacei, con maggior prospettiva temporale. Ancora sferzante il Visss 2018, frizzante sui lieviti appena messo in bottiglia, una CO2 che picchia duro, ma lascia una bocca pulita che si stanca prima l’affettatrice dei salumi che il palato. Il Pepp’One 2016 ha fatto legno, al momento è una promessa, grande, sono certo che ne riparleremo, e con toni entusiastici. Del Sogno 2017, invece, con gli stessi toni potremmo parlarne già ora.
Eros Mammoliti, che dà il cognome all’azienda, è a Ceriana, dietro Taggia. L’IGT Terrazze dell’Imperiese Epicuro 2017 è un Vermentino in purezza, paradigmatico con i varietali agrumi e mela a dominare e un bel tocco di territoriale rosmarino ad accompagnare una gran bevibilità. Stessa IGT per il rosso Democrito 2016, da Rossese, Ciliegiolo e la recuperata Cruairora, e stessa qualità: alla ciliegia si affianca una nespola bella matura, note speziate dolci, quelle erbacee, bocca tesa e invitante, il tutto proposto ad un prezzo più che attraente.
Ma è sul vitigno Moscatello che a Taggia si punta per la promozione del territorio. Se nel Lucraetio 2017 in versione secca si sfruttano con facilità le doti aromatiche anche agrumate dell’uva, è nel Lucraetio Passito 2016 che si vola alto. Al naso pare un chinotto, tanto varietale e frutta appena appassita, sentori dolci, sembra di uscire da Viganotti con le ginevrine in mano e le gocce di rosolio in bocca appena sciolte, è fresco, pieno d’erbe e saporito, tutto in ottimo equilibrio, già ora.
Si sappia, anche i liguri sanno fare i dolci. Ci vuole solo un po’ di vino.