Il racconto dell’azienda di Davide Bordone e Riccardo Fino e l’assaggio di alcuni campioni in affinamento

I vigneti dei Magnati alle Cinque Terre
Magnate s.m. 1.Cittadino ragguardevole per autorità e prestigio nella vita politica ed economica del proprio paese; al plurale, nell’età comunale, i cittadini più influenti per censo e aderenze; nei regni di Ungheria, Boemia e Polonia, i nobili, proprietari terrieri che costituivano il consiglio della Corona. Dal latino magnas-atis, derivato di magnus “grande”.
Ho in mano il Devoto-Oli, rigorosamente cartaceo, è l’edizione del 2008 ma non credo che in dodici anni questa definizione sia molto cambiata. Ci pensavo tornando a casa, dopo l’incontro con Davide Bordone che, con il socio Riccardo Fino, ha costruito non una, ma ben due aziende tra Riomaggiore e Manarola. Pensavo alla scelta del nome, semplicemente derivante dal toponimo della zona dove possiedono il vigneto di maggior estensione, eppure capace di essere un augurio, un’evocazione di altri tempi, di altre disponibilità e fortune. Parole come “autorità” e “prestigio” nel proprio paese, in effetti, dovrebbero essere associate a chiunque faccia agricoltura nelle Cinque Terre: la cura dei vigneti, il mantenimento dei muri a secco, la conservazione del paesaggio, dovrebbero essere riconosciuti come elemento centrale nella vita di una piccola comunità (e il dizionario, poco dopo, parla di “censo”, come dire…) immersa in un mondo dove le case colorate si possono fare un po’ ovunque ma le colline terrazzate non proprio. E invece Davide e Riccardo non sembrano esattamente dei nobili centroeuropei, non dei padroni sicuramente, piuttosto dei servi della gleba, legati come sono al loro territorio, e al lavoro che quel territorio implica. Poi, certo, i servi della gleba di essere parte della “loro” terra tanto felici non dovevano essere, e invece ad ascoltare Davide Bordone parlare dei suoi luoghi, del suo lavoro e di una vita, si percepisce una sorta di realizzazione, di pienezza, di quell’amore che non cancella le complicazioni, i difetti di chi o cosa si ama, ma che risulta semplicemente appagante, ed inevitabile.

Muretti a secco dell’azienda
Mi riceve nella sede di Manarola, subito sotto la frazione Groppo, è la sede grande, preposta alla produzione dei vini secchi, la parola “grande” è da intendersi, ovviamente, in termini ligustici, quindi quello che nella cantina australiana media sarebbe il ripostiglio. Assaggiamo alcuni campioni in affinamento dell’annata 2019.
Si parte con l’Aurè, dedicato al nonno Aurelio, affinato in tino d’acciaio: appena spillato è freddino, e un po’ chiuso al naso, poi suggerisce erbe e agrumi, le prime molto fresche, le seconde ancora in scorza, in bocca ha un bel finale leggermente amaricante e una schietta sapidità; ha tutto per diventare, e a breve, un bel Cinque Terre territoriale, insomma.

Dettaglio di una botte
Si continua con il Cinque Terre I Magnati, campione dalla barrique in cui ha fermentato e proseguito poi l’affinamento: la necessità di aggregare tutte le sue componenti è evidente, il legno è ancora decisamente influente, ma non riesce a domare le promettenti durezze, il frutto di polpa, quello più acidulo e la sapidità, che non vede l’ora di straripare; nonostante la rotondità e il calore pare quindi schierarsi nella via dei Cinque Terre meno piacioni e profumati.
Cambiando colore, il Rosso Aurè, assemblaggio di canaiolo e granaccia con un passaggio in legno, ha frutto croccante, ed è pimpante sia al naso che in bocca grazie ad un cenno di speziatura pepata che contribuisce alla beva, non durerà vent’anni probabilmente, ma il motivo principale sarà che la voglia di finirlo finirà per prevalere presto.
Cambiando gradazione zuccherina, e le annate, andiamo sui passiti. Prima il Passito Rosso 2016, prelevato dalla botte della cantina di Riomaggiore, bella frutta, appare l’albicocca, poi il fico, che restano fino a che la prugna non prende il sopravvento, resiste giusto un sentore lievemente erbaceo, la bocca è decisamente dolce, le durezze si affidano al contributo di un tannino molto accurato.
Tocca poi al Cinque Terre Sciacchetrà 2017, sempre da botte. Ha già un suo equilibrio perfetto, nonostante la giovane età, specialmente al palato; i profumi sono elegantissimi e non avranno che da guadagnare da una permanenza in bottiglia, dove la complessità non potrà che aumentare, questa gemma enologica, ricordiamolo a produttori e consumatori, non teme le rughe del tempo, diamoglielo.
Ma non chiuderò in dolcezza, il più che gradito omaggio di una bottiglia del Cinque Terre I Magnati 2018, attualmente in commercio, mi regala un naso autorevole, pieno di mele, nespole, ma anche agrumi, una leggera speziatura morbida di curcuma, al palato ha gran corpo, la lama salata è in un fodero di rovere ben ricamato, forse non ha ancora quella nobile compiutezza che gli esemplari superstiti agli assaggi di turisti e appassionati potranno raggiungere tra un annetto, ma già così è una ricchezza. Roba da magnati.